L’Italia è il paese del posto fisso, non della realizzazione professionale

È un dato di fatto, un retaggio culturale che può vincolarci ad un “posto” di lavoro non allineato alle nostre aspettative professionali.

Credo che un lavoro renda felici indipendentemente dalla forma contrattuale: la soddisfazione e la realizzazione professionale (solo per citare alcune componenti che contribuiscono alla felicità di cui sopra) sono aspetti edonistici del lavoro che trovano la loro pienezza quando ciò che fai risponde a ciò che sei.
Il lavoro (“travaj” qui a Torino) è appunto travaglio, fatica, sacrificio e non per questo deve impaurire e limitare l’intraprendenza di ognuno bensì stimolare le nostre qualità ad emergere e a costruire giorno dopo giorno la nostra professione.
Le paure possono derivare dalle generazioni passate che guardano al futuro con gli occhi di ieri: “Accetta il lavoro che ti arriva”, “Accetta il lavoro che ti da uno stipendio”, “Hai un posto fisso? Tientelo fino alla morte”.
Chi di noi non ha mai ascoltato queste domande?
Secondo tale visione, poco importa che tu sia infelice, a nessuno interessa del magone che ti accompagna al suono della sveglia, non è rilevante se la tua realizzazione non si concretizza perché ciò che conta è il posto fisso e non il professionista.

Questo pensiero condiziona fortemente le nostre scelte.

Le scelte di una generazione che dispone di tutti gli strumenti per dimostrare che si può svolgere il lavoro sognato soddisfacendo tutti i bisogni “concreti” a cui tutti noi dobbiamo necessariamente rispondere (bollette, mutuo, affitto, ecc.):

Se qualcuno ci riesce, vuol dire che chiunque può realizzarlo.

Ho deciso di scrivere queste poche righe perchè da ormai circa tre anni ricevo tantissime telefonate, e-mail e visite di colleghi infermieri che esprimono il loro desiderio (spesso represso) di voler optare per una scelta come la mia, soprattutto per poter esprimere la professionalità e la competenza di cui dispongono e per lavorare felici e realizzati.
Ma ormai sono vincolati dal posto fisso come se fosse una prigione.
Inoltre, il giudizio altrui rende tutto ciò ancora più difficile verso un eventuale cambiamento: “Ma sei matto a lasciare un posto fisso?”,“Come fa una famiglia a sostenere le spese senza un’entrata fissa?”, “C’è chi pagherebbe per un posto di lavoro come il tuo!” sono solo alcuni dei quesiti che sovente sono posti.

Il giudizio, così, condiziona la scelta, spostando il focus sulla stabilità lavorativa anziché sulla realizzazione professionale, dimenticando che un lavoratore felice è un lavoratore efficace.

Con questo non voglio certamente dire che sia facile: è dura, ci vuole tanta (credetemi, proprio tanta) forza, tutti giorni…ma si può fare e non sarei qui a testimoniarlo dopo tre anni se non fosse davvero così!
Alla domanda: “Tu non li fai i concorsi per l’ospedale?” io mi chiedo quale sia la difficoltà nel comprendere che una persona può essere felice e realizzata con una scelta simile alla mia.
Siamo abituati a vedere le fatiche e non le soddisfazioni.
Le mie soddisfazioni superano le fatiche e lo rifarei altre 1000 volte perché torno a casa ricca ogni giorno grazie a quello che ho costruito.

Credete in voi stessi perchè siete molto di più di un “posto” da occupare.

Dott.ssa Sara Sblendorio – infermiera esperta in Terapie Complementari